«6 proprio 3mendo»: dalla lettera ai messaggini in codice Oralità, concisione, assenza di sintassi: le caratteristiche di una scrittura «allegra» di michele Cortelazzo
Ogni giorno in Italia vengono scambiati oltre dieci milioni di SMS (Short message service), i messaggini che vengono trasmessi attraverso i telefonini e vengono visualizzati nel display del cellulare. Un fenomeno comunicativo imponente, nonostante i diminutivi che ho dovuto usare per descriverlo; e tanto imponente quanto volatile: dei milioni di messaggini non resta alcuna traccia durevole. I maggiori utilizzatori degli SMS risultano essere i giovani sotto i 25 anni, quelli che, si dice, non sanno, o non amano, scrivere.
A prima vista la diffusione dei messaggini parrebbe sancire la rivincita di Theuth, il dio egizio inventore della scrittura. Dopo che per anni la parola scritta sembrava destinata a un futuro sempre più marginale, soppiantata dalla comunicazione audiovisiva a distanza, ecco che lo sviluppo tecnologico (prima il fax, poi l'e-mail, adesso gli SMS) ridanno valore alla scrittura. Ma alcuni aspetti tecnici degli SMS ci devono spingere alla cautela. I messaggini non possono superare i 160 caratteri; digitare un messaggio dalla tastiera di un telefonino è molto più lento e faticoso di quanto non lo sia dalla tastiera di un computer. Ecco allora che gli SMS sono per loro natura brevi, brachilogici, poco strutturati. In positivo possono essere una provvidenziale scuola di sintesi e un'occasione per sviluppare la creatività, escogitando ogni mezzo possibile per dire di più nel minor spazio; in negativo, possono essere il luogo in cui domina la fatuità, la comunicazione rapida ed occasionale.
È noto (ne ha dato qualche esempio anche Severgnini sul Corriere del 5 agosto) che si è costituita una forma codificata di scrittura abbreviata, che utilizza, oltre agli scorciamenti delle parole e alle sigle, numeri, segni grafici e piccole immagini costruite con i segni della tastiera. Tanto per fare un esempio, tra i più semplici che si possono costruire: «C 6 scem8? :-) Xché non vuoi venire + alla festa? :-( Quando T C metti 6 proprio 3mendo. Mandami 1 msg, dimmi qcosa. Mi sento xsa. TVTB» (Che vuol dire, 135 caratteri contro 222: «Ci sei, scemotto? (Lo dico bonariamente). Perché non vuoi venire più alla festa? (Questo mi rende triste). Quando ti ci metti sei proprio tremendo. Mandami un messaggio, dimmi qualcosa. Mi sento persa. Ti voglio tanto bene»). La grafia corrente ha cercato, insomma, di fare i conti con la brevità e, utilizzando tecniche analoghe a quelle degli amanuensi che dovevano scrivere fogli e fogli di manoscritti, è stata creata una forma di scrittura compendiata, le cui regole sono condivise dai partecipanti alla comunicazione.
Dal punto di vista materiale siamo davvero di fronte a un recupero della scrittura; ma da un punto di vista più profondo la rivincita della scrittura è sicuramente limitata. La scrittura dei messaggini mima prepotentemente l'oralità, sia per quel che riguarda le caratteristiche linguistiche, sia per quel che riguarda gli scopi comunicativi per cui viene usata.
Gli accorciamenti nella realizzazione delle parole, la elementarità della sintassi, l'ampia presenza di contenuti impliciti, considerati scontati dagli interlocutori, sono tratti dell'orale più che dello scritto. La trascuratezza di grafia e punteggiatura e la velocità di scambio degli SMS non fanno che riproporre le caratteristiche di trascuratezza e di "allegro" tipiche dei dialoghi parlati, in primo luogo quelli giovanili. La mimesi dell'oralità è esemplarmente evidenziata dall'uso di icone come :-) per `felice' o :-( per `triste', che indicano l'atteggiamento, lo stato d'animo con cui si emettono i messaggi: esattamente quello che nell'oralità si realizza con la gestualità e la mimica (e non per nulla le icone sopra riportate, ruotate di 90 gradi, rappresentano, in forma stilizzata, un viso felice o triste). Ed anche la funzione comunicativa dei messaggini è la stessa di molti scambi orali: una comunicazione fàtica (una comunicazione che serve soprattutto a dire «ci sono, ti penso, mi sento legato a te, sono come te»), più che una comunicazione informativa (quale c'è, comunque, in una parte dei messaggi, quelli del tipo «ci vediamo alle 3 al solito posto»).
La valenza fàtica di molti messaggini è estremizzata in un'altra abitudine invalsa negli adolescenti utilizzatori dei cellulari: quella dello squillo. Si chiama il cellulare di un amico e poi si spegne dopo il primo squillo. In questo modo resta comunque memorizzato nel cellulare del ricevente il numero del chiamante: segnale silente, ma inequivocabile, e gratuito, di un legame tra persone amiche, anche se lontane. Un grado zero della comunicazione, ma un modo di esprimere vicinanza affettiva molto significativo per i partecipanti a questo nuovo gioco comunicativo.
Le caratteristiche linguistiche e comunicative dei messaggini ci fanno capire bene perché la nuova tecnologia ha attecchito soprattutto tra i giovani: perché permette loro di riprodurre, anche a distanza, le caratteristiche di fondo del loro parlato: un parlato che vuole essere prima di tutto uno strumento per tenere legato il gruppo, e per legarsi, o tenersi legati, ad esso; un parlato ricco di smozzicamenti sintattici controbilanciati da un'alta velocità di eloquio, con una forte significatività della componente gestuale; un parlato che utilizza da tempo tratti `economici', come lo scorciamento delle parole lunghe (dai classici «prof» e «rinco», ai nomi propri di persona «Vale», « Stefi» e via andando, e a quelli di luogo, «Pity» per Pitigliano o «Cone» per Conegliano, ai vari «raga» per ragazzi, «palla» per pallacanestro e così via).
La riproposizione di queste caratteristiche del parlato giovanile aveva già trovato accoglienza in alcuni tipi di testi scritti, nelle lettere e soprattutto nelle cartoline tra amici e, ancor più, nei bigliettini che gli studenti (è inutile negarlo, di tutti i tempi) si scambiano più o meno di soppiatto tra i banchi di scuola.
Ecco: i messaggini del cellulare sono l'espressione, tecnologicamente evoluta, proprio di questa forma testuale. I contenuti trasmessi sono più o meno gli stessi, le forme linguistiche anche, le dimensioni pure. I giovani possedevano da tempo le tecniche per scambiarsi messaggi rapidi, fàtici più che informativi, simili a battute di dialogo. Avevano solo bisogno di uno strumento per nobilitare e moltiplicare questa consolidata capacità. Il telefonino gliel'ha fornito.
Il povero Theuth non può quindi festeggiare la propria rivincita, se non sul piano quantitativo: per quanto graforroici possano essere stati, nei banchi (anzi nei sotto-banchi) di scuola, i giovani studenti italiani, è difficile ipotizzare che si scambiassero dieci milioni di bigliettini al giorno.
«Corriere della Sera», 19 agosto 2000, p. 29